Dal Dono ai Legami generazionali

Donare è prassi quotidiana. Un gesto che facciamo:

  1. al bar la mattina quanto offriamo il caffè a un nostro amico o al nostro collega di lavoro;
  2. quando invitiamo a pranzo o a cena una persona;
  3. elargendo la mancia al cameriere;
  4. dando la carità a un povero che incontriamo per strada;
  5. in occasione di eventi importanti come matrimoni, battesimi, cresime, anniversari, compleanni, etc.

Insomma sono innumerevoli le occasioni in cui ci troviamo a fare regali, a donare anche con piacere e soddisfazione personale. Allo stesso modo sono tanti i momenti in cui aspettiamo con ansia di ricevere un regalo ed è abbastanza evidente la nostra insoddisfazione quando non arriva.  Pensiamo per un attimo ai bambini che aspettano impazienti in occasione delle feste comandate i loro regali e gli strepiti nel momento in cui non dovessero riceverli.  In Sicilia, addirittura, in occasione della commemorazione dei defunti si soleva (oggi la tradizione si sta un po’ perdendo) portare di nascosto regali ai bambini facendoli passare come doni che venivano dai loro parenti defunti ponendo l’accento che la prassi del donare mette insieme vivi e morti (anche se come vedremo in questo gesto tradizionale, vi era un messaggio più importante e profondo).  Per Natale viene babbo natale sulla sua slitta a portare i regali in base ai desideri espressi dagli stessi bambini.  Babbo Natale viene la notte del 24 dicembre che per la religione cristiana è la notte del dono più grande ovvero Dio dona se stesso agli uomini condividendone la natura. Grazia Deledda nel dono di Natale racconta con impareggiabile maestria il significato del regalo di Natale quando davanti alla curiosità di Felle la sua amica Lia le dice “È il nostro primo fratellino ….. Mio padre l’ha comprato a mezzanotte precisa, mentre le campane suonavano il Gloria. Le sue ossa, quindi, non si disgiungeranno mai, ed egli le ritroverà intatte, il giorno del Giudizio Universale. Ecco il dono che Gesù ci ha fatto questa notte”.  I regali della Notte di Natale arrivano dal cielo ovvero mettono in contatto gli uomini con un mondo sconosciuto. Per l’Epifania è la befana a portare i regali distinguendo tra i bambini buoni cui dona ghiottonerie e quelli cattivi cui fa trovare il carbone. Sia la notte di Natale che per l’epifania – così come in Sicilia per la commemorazione dei defunti – i regali si avvolgono di mistero quasi di un potere magico in grado di mettere in contatto il conosciuto con il non conosciuto.

Infatti, il regalare, il gesto del donare non è così banale come potrebbe a prima vista apparire: serve a stabilire legami interpersonali e sociali. Come ci informa Mauss (1922) il dono, inteso come lo scambio senza nessuna costrizione di carattere economico e commerciale, nelle società arcaiche e primitive serve a stabilire relazioni non solo con altri individui, ma costituisce il nucleo dell’intera organizzazione sociale.  Mauss studiando alcune società amerinde della costa del pacifico dell’America descrive una cerimonia chiamata potlach in cui gli organizzatori per mostrare la loro potenza economica distruggevano i loro beni considerati effimeri. Le tribù ospitate a loro volta si sentivano in dovere di contraccambiare organizzando anche loro una cerimonia in cui distruggevano anch’essi i loro beni.

La distruzione dei beni non era fine a se stessa. Infatti, come messo in risalto da Boasz, questo processo serviva anche a rendere evidente il rango sociale dei partecipanti al potlach. Al contrario, di quanto avviene nelle società capitalistiche in cui per mostrare la propria posizione economica e sociale si accumulano quanto più beni possibili, nelle società primitive si alienavano i beni. Se ci riflettiamo un attimo ciò che avveniva nel potlach è simile a quanto prescritto nei vangeli e propugnato dalla chiesa cattolica. Gesù nelle sue predicazioni afferma che: è più facile che un cammello passi dalla cruna di un ago piuttosto che un ricco raggiunga il paradiso. Per meritarsi quest’ultimo per Gesù non solo si devono donare tutti i propri beni ma anche se stessi, così come Dio ha donato se stesso agli uomini facendosi uomo. Gli esseri umani per contraccambiare il dono di Dio devono, a loro volta, donarsi agli altri.  Ecco che emergono le caratteristiche individuate da Mauss tipiche dell’atto del donare: “Donare, ricevere, contraccambiare”. Secondo quest’autore al fine di costruire le relazioni interpersonali e sociali, al fine di fare comunità, vi è un legame che unisce il donatore al ricevente: se vi è un dono, vi è un ricevente che si sente in dovere di ricambiare. In questo modo il dono assume un valore simbolico che contiene in sé ciò che lo stesso autore ha individuato come “mana”. Quest’ultimo termine di origine malenisiana e hawaiana può essere tradotto come “forza vitale” o “forza che viene da dentro”. Mircea Eliade sostiene che per l’uomo arcaico un oggetto animato o inanimato che sia nel momento in cui si manifesta è dotato di una sua forza vitale.  Il dono ha una sua forza vitale che gli dà il potere di stabilire il legame con l’altro attraverso il ciclo del donare, ricevere, ricambiare.

Il valore del dono come simbolo per costituire legami interpersonali e sociali, per moltissimi anni, anzi millenni, ha costituito l’asse portante e centrale dell’essere e del fare comunità. Infatti, oltre ai dettami della cultura cristiana cui abbiamo accennato, anche la cultura greca e in seguito quella romana hanno dato grande importanza al dono.

Nella Grecia antica, ad esempio, vi era un rituale definito “xenia”- ospitalità – che legava indissolubilmente l’ospite con l’ospitante e tale vincolo era trasmesso alle generazioni future. In sostanza, nella cultura greca ospitare era una prescrizione sacra tutelata da Zeus Xenios il quale garantiva che, a sua volta, l’ospitante possa ricevere in futuro lo stesso trattamento. Nell’Iliade Glauco e Diomede scesi a duello si fermano nel momento in cui Diomede indagando su Glauco scopre che suo padre Onei aveva ospitato in passato Bellofronte, antenato di Glauco, e quindi i due gruppi erano legati dal vincolo di ospitalità e per tale motivo non potevano sfidarsi a duello. Diomede per dare significato al vincolo di ospitalità si rivolge a Glauco con la seguente frase: “Io sono per te in Argo ospite caro, tu in Licia, se mai io giunga tra quel popolo”. Un’interessante accezione del dono nasce nella cultura greca ed è quella di dono avvelenato in cui il protagonista per Omero diventa Ulisse. Quest’ultimo offre, insieme ai suoi compagni, il vino a Polifemo per ubriacarlo e accecarlo, e costruisce il famoso cavallo di Troia per sconfiggere definitivamente i troiani. Nell’ Eneide, Virgilio fa dire a Laoconte “timeo Danaos et dona ferentis” (Temo i greci anche quando/se portano doni) nel tentativo di dissuadere i troiani dall’accogliere il dono del cavallo e del trasportarlo dentro le mura. Il dono senza un ricambio, in altre parole quello a senso unico, è un dono ingannevole.

Dal dono avvelenato nasce la patologia nelle relazioni. Scabini e Greco, individuano il dono come forma di coercizione e controllo uno dei fattori scatenanti la suddetta patologia. Essi spiegano “nelle relazioni familiari positive, le persone sentono di dovere molto agli altri, ma tale obbligazione è più dell’ordine della gratitudine che della coercizione. La patologia invece si annida là dove l’obbligatorietà è coatta, e dove il rapporto costi/benifici regge la relazione strutturalmente e non episodicamente. Infatti, quando la coppia, o la famiglia, è ossessivamente centrata sul calcolo dare/avere, cioè sugli aspetti di controllo e reciprocità a breve termine produce relazioni disturbate” (1999) .

L’importanza del dono come modalità di interazione interpersonale e sociale nella cultura romana è messa in luce da due testi di Cicerone, De Officiis, e di Seneca, De Beneficiis. I due termini indicano rispettivamente il rapporto o la relazione che si viene a creare tra ricevente e donatore – officium – e quella tra donatore e ricevente (beneficium). A. Accardi, sostiene che ambedue gli autori costruiscono le loro opere sul beneficium come simbolo fondante “la società creando e mantenendo i legami interpersonali”. Per Cicerone il beneficium deve ispirarsi all’utilitas communis, mentre per Seneca sono “benevolentia e amor che soli possono garantire la salvaguardia della relazione e della reciprocità”.  L’Accardi mette l’accento sul contraccambiare e su come Seneca sostiene che il beneficium stia nell’atto del donare anche quando non vi è nessuna restituzione. Se non c’è contraccambio, non si deve smettere di donare poiché, come sostiene Seneca, “nullum perit”. Al contrario, il donare senza ricevere niente in cambio porta a guadagnare virtù e sapienza. La perdita legata alla mancata restituzione, invece, inficia il legame poiché se dal beneficium ci si attende un ritorno vuol dire che si dona con ingratitudine. Per Seneca si deve donare con humanitas, senza nessun tipo di arroganza per evitare, da un lato, di mettere in difficoltà il ricevente e, dall’altro, di inserire il beneficium all’interno di un contesto di tipo economico come una pratica usuraia. Inoltre, in caso di mancata restituzione, bisogna perdonare il ricevente.  Il termine officium, relativo al contraccambiare, indica un dovere vincolante alla stessa stregua di una norma giuridica. Cicerone afferma che “ricambiare un beneficio è anzi il più necessario fra tutti gli officia”.  Infatti, se da un lato, si deve donare senza arroganza poiché il rischio è di scatenare nel ricevente una reazione violenta che può anche portare all’uccisione del donatore. Se si riceve senza contraccambiare, si passa come uomini poco onorevoli. Il donare, quindi, crea un obbligo nel ricevente tant’è che accettare un dono non è cosi semplice perché crea un obbligo.  Lantano mette in luce che nella cultura latina il padre (ricordiamo qui che nell’antica Roma i figli erano dei padri) è il “beneficium datae vitae” che fa nascere un legame incondizionato e non risarcibile poiché “le eventuali controprestazioni che quest’ultimo potrebbe erogare a vantaggio del padre dipendono tutte, in ultima analisi, da quel primo beneficio paterno, senza dunque mai poterlo appieno eguagliare”. Il dare la vita, il dono della vita crea un legame inscindibile fra le generazioni. Non è un caso che i romani all’ingresso delle loro case costruivano l’edicola dei lari e dei penati di cui si occupava il capofamiglia offrendo loro quotidianamente il farro (principale cereale coltivato dai romani) e il sale. Il farro per i romani rappresenta le origini e il sale la conservazione della discendenza per cui il rituale del capofamiglia, sul piano simbolico, non fa altro che ricordare che la vita è un beneficio che va custodito e conservato lungo l’arco delle generazioni: la presenza dei lari e dei penati all’interno della casa non fa altro che richiamare il principio del dono della vita.

Dopo che per millenni il dono ha rappresentato, nelle più svariate culture, l’elemento principale del fare comunità con l’emergere della società industriale fin quasi ai nostri giorni prende corpo il concetto di utilità e il dono passa in secondo piano. Come messo in luce da molti studiosi emerge l’homo oeconomicus volto non tanto alla ricerca del bene comune ma del vantaggio individuale. Il dono, il regalo non ha valore di legame ma solo e semplicemente di utilità. Questa visione può essere riassunta da quanto sostenuto da A. Smith (considerato da molti il padre del capitalismo moderno) “Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanità, bensì al loro egoismo, e con loro non parliamo mai dei nostri bisogni, bensì dei loro vantaggi“.  Nell’ambito di questa nuova visione anche il trasmettere la vita diventa un calcolo di tipo economico ovvero si devono analizzare i vantaggi e gli svantaggi della scelta. O. Fallaci, in “Lettera a un bambino mai nato”, ci offre una stupenda immagine letteraria del dramma di una donna in carriera che si di fronte al bivio di “dare la vita o negarla” risponde  “molte donne si chiedono: mettere al mondo un figlio perché? Perché abbia fame, perché abbia freddo, perché venga tradito ed offeso, perché muoia ammazzato dalla guerra o da una malattia?  …….. Forse hanno ragione loro. Ma il niente è da preferirsi al soffrire? Io perfino nelle pause in cui piango sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferirsi al niente. E se allargo questo alla vita, al dilemma nascere o non nascere, finisco con l’esclamare che nascere è meglio di non nascere”. Dare la vita è il dono dei doni con profondi significati generazionali, antropologici e filogenetici. Eppure la società capitalistica riesce a mettere in crisi, in nome del presunto sviluppo, anche ciò che per millenni non è mai stato messo in discussione.

La rottura culturale e la messa in discussione dei principi che per due secoli hanno contraddistinto la società industriale avviene con la pubblicazione della “populorum progressio” di Paolo VI e, subito dopo, con la nascita a Parigi di un Movimento denominato MAUSS (movimento antiutilitarista nelle scienze sociali) del quale i maggiori esponenti sono Lautoche, Godelier, Godbout e Caillè.  L’intento del MAUSS è volto a dare corpo e visione a una società non più basata sull’egoismo dei singoli ma sulla condivisione così come viene a determinarsi nella circolarità del dono.   Ciò che è messo in crisi è l’approccio metodologico sia di tipo speculativo sia olistico poiché cambia il paradigma di studio: non più l’interesse individuale ma la relazione, il legame che può essere vivificato attraverso il dono. Per dirla con E. Fromm, l’oggetto di studio non è più l’avere ma l’essere.

Bisogna liberarsi, utilizzando un’espressione di Laoutuche, di quel “martello economico” che ci batte la testa che guarda solo al soddisfacimento dei bisogni materiali ed economici.  Ciò che si propone è un cambiamento epistemologico profondo in cui devono essere valorizzate altre dimensioni dell’esistenza umana anche perché la concezione economica dominante entra in profonda crisi dagli anni novanta.  Ihab Hassan, scrive che bisogna chiudere con il “forte desiderio di dis-fare, che ha preso di mira la struttura politica, la struttura cognitiva, la struttura erotica, la psiche dell’ individuo, l’ intero territorio del dibattito occidentale“.

Da questa breve esposizione possiamo notare che un gesto apparentemente semplice come fare un regalo, o donare, in effetti, ha forti implicazioni sul piano scientifico e che vede coinvolti quasi tutti i settori delle scienze umane dall’antropologia, alla sociologia, all’economia, alla psicologia, alla letteratura, etc. Ciò perche il donare crea i legami relazionali e sociali ed ha forti implicazioni sullo sviluppo umano e sociale. E’ attraverso il dono, ad esempio, che il bambino inizia il suo riconoscimento come essere culturale e sociale. E’ attraverso il dono che avvengono gli scambi e le trasmissioni generazionali e, quindi, è un tema che deve essere attentamente studiato e analizzato. Lo scambio generazionale presuppone il dono della vita, il donarsi agli altri nella speranza e nella fiducia di poter essere ricambiati. Quando la fiducia e/o la speranza vengono meno o il dono è funesto ecco l’emergere, così come messo in luce dai numerosi studi sulla generatività da parte di Scabini e Cigoli, delle patologie individuali e/o relazionali.

 

Bibliografia

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