Il dono nel legame di coppia

Se la coppia si forma come un riconoscimento reciproco, nell’accezione sopra descritta presuppone il donare ovvero di un legame che obbliga donante e ricevente insito nell’atto stesso dello stare insieme del fare coppia come significato antropologico e culturale. Ciò vuol dire cambiare oggetto di studio:  La coppia non è più il frutto della “coazione a ripetere” che tende a replicare il rapporto figlio-genitore dell’altro sesso e, in particolare, della madre. Non è più il frutto della proiezione di contenuti interni sul partner. Per certi versi non è più neanche il frutto delle relazioni oggettuali ma del legame inteso come una struttura inconscia che lega due o più soggetti. Ciò che è messo in risalto, oltre al legame, è la reciprocità nel rapporto di coppia insieme ad un tema nuovo ovvero gli influssi intergenerazionali. Per la prima volta questi temi furono posti al I congresso internazionale di psicoterapia di coppia e della famiglia, tenuto a Napoli nel 2000, da un gruppo di psicoanalisti italiani tra cui Nicolò, Lucarelli, Torso e Tavazza. Essi misero in risalto, così come riportato dagli autori di “Famiglie in trasformazione” (2015) (13), che bisogna curare il legame come “terzo neoformato”. La famiglia, in quest’ambito, è un “sistema interiorizzato di legami” , costituisce “la matrice dell’identità individuale” ed è “un sistema interattivo” dotata di un “sistema intergenerazionale”. Ecco la novità, la lettura e l’interpretazione dei legami familiari si spostano dall’interazione tra i membri alla loro storia generazionale: “il punto focale di tale approccio è lo studio del continuo reciproco intreccio tra il mondo intrapsichico del singolo membro e il funzionamento interpersonale della famiglia a cui il singolo appartiene”(Nicolò 1998 ).

Kaes (2015), nel tentativo di spiegare la fusione di coppia e il mantenimento della stessa, rende evidente il lavoro psichico “richiesto dall’incontro con l’altro e più- di-un-altro perché la psiche, o parti di queste, si associno e si assemblino, perché si sperimentano nelle loro differenze e si mettano in tensione, si regolino”. Il suddetto lavoro deve rispondere a quattro esigenze riguardo al legame intersoggettivo:

  • L’obbligo per il soggetto di investire il legame e gli altri con la propria libido narcisistica e oggettuale, al fine di ricevere in cambio da questi gli investimenti necessari per essere riconosciuto come soggetto membro del legame”. Il soggetto nell’atto dell’investimento libidico dona al fine di stabilire il legame e nello stesso tempo riconoscersi, in senso antropologico, nel legame;
  • La messa in latenza, la rimozione, la rinuncia o l’abbandono di alcune formazioni psichiche proprie del soggetto”. Si tratta di abbandonare, modificare e , alcune volte, ampliare i nostri pensieri o il nostro sistema di credenze per aderire a un nuovo progetto condiviso. Ritorna ancora una volta il perdere, il rinunciare per acquisire, per trasformarsi in un nuovo aggregato;
  • la necessità di mettere in opera operazioni di rimozione, di diniego o di rigetto, affinchè si formino le congiunzioni di soggettività e i legami si mantengano”. Il legame diventa una realtà psichica che ha una vita propria e che mette in atto “i dispositivi metadifensivi necessari alla sua autoconservazione”. Alcuni hanno parlato, a questo proposito, di alleanze inconsce difensive;
  • L’articolare “gli interdetti fondamentali nei loro rapporti con il lavoro di civilizzazione e i processi di simbolizzazione”. Le alleanze inconsce difensive sono una necessità non solo soggettiva o funzionale al mantenimento del legame, ma anche un’esigenza transgenerazionale.

L’esigenza transegnerazionale è la base del mantenimento dell’ordine e risponde a esigenze di giustizia e proprio per questi suoi principi può essere ascritta alle esigenze antropologiche dell’uomo.  Tant’è che Kaes nelle sue teorizzazioni cliniche traccia una realtà psichica senza soggetto che trova i suoi spazi nell’intersoggettività e nell’intrasoggettività. Se lo spazio intersoggettivo, ammesso che si possano separare, trova la sua rappresentatività nel legame di coppia, l’intrassoggettività concerne i passaggi generazionali. Chiaramente inter e intra  soggettività si sovrappongono nelle progressioni e trasformazioni culturali. Nicolò (2015), riferendosi alla clinica, individua la intrasoggettività nei miti che le varie generazioni si tramandano e che sono una fonte inesauribile da cui ricavare informazioni sulla forza e qualità dei legami.  Rigamonti e Taccani ( 2015) in questi spazi psichici inseriscono il segreto facendo rilevare che a livello intrapsichico svolge una funzione protettiva per il legame di coppia, mentre a livello intrasoggettivo (segreto di famiglia) serve a ripararci da traumi psichici vissuti da generazioni precedenti che sono stati incapaci di elaborarli e simbolizzarli trasmettendoli come tracce che spesso disorientano e confondono. Abraham e Torock (1987), così come riportato da Nicolò e Trapanese in “Qual è Psicoanalisi per la famiglia?”, individuano un “inconscio artificiale” che assume la forma di una cripta i cui contenuti sono costituiti da elementi traumatici, bizzarri e alieni appartenenti a generazioni precedenti. Sembrerebbe il luogo, dove si nasconde e nasce il dono avvelenato e negativo.

Sempre Kaes (op. cit) inserisce all’interno degli spazi inter e intra soggettivi una serie di alleanze che possono essere contraddistinte come di piacere condiviso, d’illusione e creatività e  d’amore e di odio. Egli definisce queste alleanze come strutturanti primarie e secondarie. La prima alleanza strutturante primaria, riprendendo “Introduzione al narcisismo” (1914) di Freud,  è quella narcisistica che “definisce un contratto di filiazione: è al servizio degli investimenti di autoconservazione del gruppo e del soggetto e del soggetto di questo gruppo  e riconosce il bambino come membro di questo gruppo, esigendo da questi che riconosca il gruppo come ciò che lo precede e ciò che deve prolungare”. Ecco l’affacciarsi del dono della vita come esigenza antropologica e simbolica che si compone, ancora una volta, come perdita per acquistare.

Il mantenimento dell’ordine e della giustizia è frutto delle alleanze strutturanti secondarie che fanno riferimento allo spazio intersoggettivo. Riprendendo Freud che nel 1929 sostenne che, affinché si realizzasse una società di diritto, il soggetto deve rinunciare alle esigenze pulsionali distruttive, kaes sostiene che tale rinuncia garantisce uno spazio condiviso in cui l’Io si può realizzare: “sono i garanti dell’interdetto, dell’incesto e dell’assassinio e per questo assicurano la trasmissione della vita psichica tra le generazioni”.

Lacan (14), nel seminario XX,  indica il luogo dell’altro nell’intersoggettività e, assumendo l’idea hegeliana, afferma che il soggetto ha bisogno dell’altro per esistere.  Il luogo dell’altro è quello materno e quello paterno, ma anche quello dell’altro sesso.  La madre, attraverso le cure, è il luogo del linguaggio che permette di comunicare con gli altri . Il padre invece è il luogo della legge e dell’ordine essendo “un significante in relazione con i significanti”.  Lacan da grande rilievo al “Nome del Padre” poiché se esso manca non ci può essere il luogo del “grande altro”. Addirittura, sul piano clinico, ritiene che se manchi il “Nome del Padre” non ha senso mettere uno psicotico sul lettino poiché quest’ultimo, relazionandosi con un mondo immaginario, sarà costretto a confrontarsi con un buco, con un cratere, con una voragine, insomma con l’assenza del luogo dell’altro.

Lo spazio intersoggettivo mi piace immaginarlo come il luogo dello scambio di elettroni tra atomi che permettono il formarsi del legame e la comparsa di una nuova sostanza: nell’acqua attraverso un legame covalente , nel sale attraverso un legame ionico. Lewis (op. cit.) attraverso la regola dell’ottetto ci informa che gli atomi sono particolarmente stabili nello stato di valenza quando hanno all’esterno otto coppie di elettroni come i gas nobili. La stessa regola presuppone che quando gli atomi si avvicinano per formare un legame solo gli elettroni più esterni partecipano all’operazione. Infatti, gli elettroni dello strato più esterno sono chiamati elettroni di valenza o di legame. Nel caso dell’acqua  due atomi di idrogeno mettono due coppie di elettroni e un atomo  di ossigeno sei coppie di elettroni. Il Cloruro di sodio (sale), attraverso il legame ionico, forma otto coppie di elettroni unendo l’unica coppia del sodio a carica positiva con i sette del cloro a carica negativa.  Il legame, quindi, può esserci solo nella misura in cui l’atomo è disponibile o a cedere i suoi elettroni di valenza o a patto che essi siano caricati in maniera complementare. Infatti, gli atomi per formare un legame devono reinterpretare e mettere in comunione all’interno di regole certe (perdere, acquistare e mettere in comune)  i propri elettroni di valenza, lasciando invariato il proprio nucleo. I chimici considerano gli spazi, dove si formano i legami, come spazi vuoti.

E’ nello spazio interpsichico che si formano i legami che possono essere covalenti e/o ionici ovvero che possono essere più o meno forti. La forza dei legami si misura in base all’energia necessaria alla rottura del legame. L’energia necessaria per la rottura del legame potrebbe essere ad esempio il calore. In base all’energia il legame covalente è più forte di quello ionico poiché  in questo legame c’è una condivisione quasi con la stessa forza degli elettroni di legame, quindi nessuno dei due atomi della molecola tira di più. Nel legame ionico, data la differenza di elettronegatività e quindi della forza di uno dei due atomi a tirare gli elettroni di legame, l’atomo più elettronegativo ha gli elettroni di legame molto vicini al suo nucleo e basta una piccolissima forza per rompere il legame, che è labile.  Per fare un esempio, il sale (legame ionico) scioglie a 800 gradi circa, mentre il diamante (legame covalente) a 4000 gradi circa. Ciò significa che è più semplice subire attacchi al legame man mano che ci si avvicina al nucleo piuttosto che nello spazio interpsichico. Se ipotizziamo che il nucleo rappresenta la soggettività man mano che ci allontaniamo da essa, il legame diventa più forte come spazio della condivisione e della reciprocità. In sostanza, in questo spazio interpsichico senza soggetto ci riconosciamo in un nuovo soggetto che non necessariamente corrisponde alla soggettività, anzi, l’influsso di quest’ultima può attaccare il legame proiettando su di esso contenuti distruttivi. Inoltre, nei legami umani lo spazio interpsichico non occupato dai legami non è vuoto essendo riempito dalla cultura, dai contenuti antropologici, dal simbolismo e dal sacro.

Vorrei ricordare a questo proposito che nell’Antico Testamento ad Abramo (15) per legarsi a Dio viene richiesta la rinuncia. Deve rinunciare alla sua casa  e alla sua terra affinché possa avere in cambio:

  1. una numerosa discendenza;
  2. la benedizione, tramite lui, di tutti i popoli della Terra;
  3. un territorio per la sua discendenza.

Abramo rispose obbedisco: rinunciare per acquistare la discendenza e, nel frattempo,  fare legame con Dio. Abramo, in effetti, si sposta ed ebbe la terra promessa così come il discendente Isacco. Ancora, una volta Dio lo chiama e gli chiede di rinunciare al suo unico figlio per offrirlo in sacrificio. Ancora una volta Abramo risponde obbedisco. Sappiamo tutti che il sacrificio di Isacco non fu necessario, ma Abramo era disponibile a rinunciare alla sua soggettività pur di fare legame con Dio. Tra l’altro, e ne parleremo dopo,  ciò è la dimostrazione che i figli non sono una nostra proprietà privata, ma appartengono alla comunità, alla cultura e al sacro.

Il dono come modalità di legame, ancora una volta, vuol dire rinunciare al fine di conquistare una nuova identità all’interno di una nuova relazione.

Kaes, come abbiamo detto in precedenza,  nell’ambito delle alleanze strutturanti primarie indica la filiazione come sistema di autoconservazione per il gruppo e per il soggetto. Ricoeur (op. cit.) a proposito del riconoscimento del sé in seno alla scala genealogica arriva alla conclusione  che “riconoscersi nella filiazione” vorrebbe dire “riconoscimento” come “luogo di un debito senza colpevolezza”.

La famiglia, infatti, non è solo la coppia ma sono presenti anche i figli. Per richiamarci alla formazione dei composti chimici, il legame è anche determinato dalla lunghezza. Da questo punto di vista è  piuttosto semplice e ovvio osservare che i legami più forti sono nella rete parentale e, restringimento ancora di più il campo, anche all’interno della stessa cerchia dei familiari. Il rapporto madre-figlio è senza dubbio, almeno nei primi anni di vita del bambino, più forte del legame tra gli stessi genitori così come quello tra marito- moglie e maggiore di quello con le rispettive famiglie di origine. Allo stesso modo, gli individui investono e legano all’inizio della loro vita con i propri genitori e, solo durante l’adolescenza, tendono a investire e legare con i propri pari età. Il legame, infatti, in psicologia è stato studiato prevalentemente nell’ambito dei processi socializzativi ed evolutivi sia inter sia intragenerazionali.  La psicologia e, in particolare, la psicoanalisi hanno prestato attenzione ai rapporti madre-figlio (caregiver materno) come elemento essenziale per lo sviluppo futuro.

 

Bibliografia

Kaes, R.,  La parola e il legame. Processi associativi nei gruppi, Roma: Borla, 2016

Kaes,R., (2015), La realtà psichica del legame, in Famiglie in trasformazione, Milano: Franco Angeli

Lacan, J., Il seminario. Libro XX. L’ancora 1972-73, Torino: Einaudi, 2011

Niccolò, A.M., Benghozi,P., Lucarelli D., (a cura di), (2015), Famiglie in trasformazione, Milano: Franco Angeli

Ricoeur,P., Percorsi del riconoscimento. Tre studi.  Milano: Cortina, 2005

Taccani, S., Rigamonti, G.,(2015),  Vecchi e nuovi segreti di coppia. Come trattarli?, in Famiglie in trasformazione, Milano: Franco Angeli

pubblicato su State of Mind: https://www.stateofmind.it/2019/06/dono-legame-coppia/